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CATERINA SFORZA





Caterina nacque a Milano nel 1463. Era figlia illegittima di Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, e di Lucrezia Landriani, moglie del cortigiano Gian Piero Landriani.


 
Galeazzo Sforza                                     Lucrezia Landriani


Il capostipite degli Sforza, Muzio, faceva parte di una famiglia della nobiltà minore residente a Cotignola, dove i genitori, Giacomo Attendolo ed Elisa de' Petrascini, si dedicavano all'attività contadina. Muzio, all'età di tredici anni, scappò di casa con un cavallo rubato al padre, per seguire i soldati di Boldrino da Panicale, che passava da quelle parti per cercare nuove reclute, e, poco tempo dopo, passò nella compagnia di ventura di Alberico da Barbiano, il quale lo soprannominò "Lo Sforza", e divenne uno dei condottieri più noti del suo tempo, ponendosi al servizio di diverse città d'Italia, dal nord al centro, fino a quella di Napoli.
Anche suo figlio Francesco Sforza si distinse nell'esercitare la carriera di condottiero, fino ad essere considerato dai contemporanei uno dei migliori. Grazie alla sua abilità politica riuscì ad avere in sposa Bianca Maria, figlia di Filippo Maria Visconti, ultimo duca della famiglia Visconti di Milano. Bianca Maria seguì sempre il marito nella sua attività di condottiero e condivise con lui le decisioni politiche ed amministrative.
Fu proprio grazie al suo matrimonio con l'ultima rappresentante della dinastia Visconti, che Francesco venne riconosciuto come Duca di Milano nel 1450, quando l'Aurea Repubblica Ambrosiana terminò di esistere.
Francesco e Bianca Maria, diventati signori di Milano, si dedicarono ad abbellire la città, ad aumentare il benessere economico dei suoi abitanti e a consolidare il loro fragile potere.
Anche Galeazzo Maria, loro primogenito ed erede intraprese la carriera militare. Non riuscì però ad ottenere la fama dei suoi avi: era considerato troppo impulsivo e prepotente, e, inoltre, la gloria militare e il governo del ducato, non erano i suoi unici interessi, infatti, si dedicava spesso e più volentieri alle battute di caccia, ai viaggi e alle belle donne.
Si ritiene che Caterina abbia vissuto i primi anni della sua vita con la famiglia della madre naturale. Il rapporto tra madre e figlia non fu mai interrotto: Lucrezia infatti seguì la crescita di Caterina e le fu sempre accanto nei momenti cruciali della sua vita, anche negli ultimi anni che lei trascorse nella città di Firenze.
Solo dopo essere diventato Duca di Milano nel 1466 alla morte del padre Francesco, Galeazzo Maria Sforza fece trasferire a corte i suoi quattro figli Carlo, Chiara, Caterina e Alessandro, tutti avuti da Lucrezia, i quali vennero affidati alla nonna Bianca Maria e, in seguito, tutti adottati da Bona di Savoia, sposata dal Duca nel 1468.
La famiglia ducale risiedeva sia a Milano che a Pavia e spesso soggiornava a Galliate o a Cusago dove Galeazzo Maria si dedicava alle battute di caccia e dove molto probabilmente la figlia imparò lei stessa a cacciare, passione che la accompagnerà poi per tutta la vita.
Nel 1473 fu organizzato il matrimonio di Caterina con Girolamo Riario, figlio di Paolo Riario e di Bianca della Rovere, sorella di papa Sisto IV.



Girolamo Riario



Sostituì la cugina Costanza Fogliani, all'epoca undicenne, la quale, secondo alcune fonti storiche, venne rifiutata dallo sposo perché la madre della fanciulla pretendeva che la consumazione del matrimonio avvenisse solo al compimento dell'età legale della figlia, che allora era di quattordici anni, mentre per Caterina, nonostante al momento avesse solo dieci anni, si acconsentì alle pretese dello sposo; altre fonti invece, riportano che il matrimonio di Caterina e Girolamo venne celebrato nel 1473, ma consumato solo dopo il compimento del tredicesimo anno della sposa, senza aggiungere le cause che fecero fallire le trattative per il matrimonio di Costanza. Lo storico Pier Desiderio Pasolini, riferisce fra i doni di nozze tre filze di 429 grosse perle.
A Girolamo, Sisto IV aveva procurato la signoria di Imola, già città sforzesca, nella quale Caterina entrò solennemente nel 1477. Dopo di che raggiunse il marito a Roma, dove egli, originario di Savona, viveva già da diversi anni al servizio del Papa suo zio.
Roma alla fine del XV secolo era una città in fase di transizione tra il periodo medioevale e quello rinascimentale, del quale sarebbe poi diventata il più importante polo artistico, e Caterina, quando vi giunse nel maggio del 1477, trovò un ambiente culturalmente molto vivace.
Mentre Girolamo si occupava della politica, Caterina si inserì rapidamente, con il suo atteggiamento disinvolto e amabile, nella vita dell'aristocrazia romana fatta di balli, pranzi e battute di caccia, alle quali partecipavano artisti, filosofi, poeti e musicisti provenienti da tutta Europa. Ella, come è dimostrato dalla corrispondenza di quel periodo, si sentì subito molto importante nel suo nuovo ruolo: era infatti ammirata come donna fra le più belle ed eleganti e lodata affettuosamente dall'intera cerchia sociale, compreso il Papa, e ben presto si trasformò da semplice fanciulla adolescente in una ricercata intermediaria fra la corte di Roma e non solo quella di Milano, ma anche le altre corti italiane.



Palazzo Riario Sforza di Polistena (RC): Caterina Sforza



A Girolamo intanto, dopo la morte prematura del fratello, il cardinale Pietro Riario, Sisto IV riservò una posizione di primo piano nella sua politica di espansione ai danni soprattutto della città di Firenze. Egli aumentava di giorno in giorno il suo potere e anche la sua crudeltà nei confronti dei nemici. Nel 1480 il Papa, per ottenere un forte dominio in terra di Romagna, assegnò al nipote la signoria, rimasta vacante, di Forlì, a scapito della famiglia Ordelaffi. Il nuovo Signore cercò di guadagnarsi il favore popolare con una politica di costruzione di opere pubbliche e abolendo parecchie tasse.La vita dei coniugi Riario cambiò improvvisamente con la morte di Sisto IV, che avvenne il 12 agosto 1484.
Alla notizia della morte del Papa si buttarono al saccheggio tutti coloro che avevano patito delle ingiustizie dai suoi collaboratori durante il suo pontificato, portando per le strade di Roma disordine e terrore. La residenza dei Riario, palazzo Orsini di Campo de' Fiori, fu assalita e quasi distrutta.In questo momento di anarchia Caterina raggiunse a cavallo la rocca di Castel Sant'Angelo per occuparla a nome del marito, che ne era il governatore. Da qui, con i soldati che le obbedivano, Caterina minacciava con le sue armi il Vaticano e poteva costringere i cardinali a patteggiare con lei. Invano tentarono di persuaderla a lasciare la fortezza, poiché la giovane nobildonna era ben decisa a consegnarla solo al nuovo papa.

Intanto in città i disordini aumentavano e, oltre alla popolazione, si diedero al saccheggio anche le milizie giunte al seguito dei cardinali. Questi ultimi non vollero assistere alle esequie di Sisto IV e si rifiutarono anche di entrare in conclave, per timore di trovarsi sotto il fuoco delle artiglierie di Caterina. La situazione era difficile, poiché soltanto l'elezione del nuovo papa avrebbe posto fine alla violenza che imperversava in città.
Girolamo nel frattempo si era posto con il suo esercito in una posizione strategica, ma non mise in atto un'azione di forza risolutiva. Il Sacro Collegio gli chiese di lasciare Roma, offrendogli in cambio la somma di ottomila ducati, il risarcimento dei danni subiti alle sue proprietà, la conferma della signoria su Imola e Forlì e la carica di Capitano Generale della Chiesa. Girolamo accettò. Quando Caterina venne informata delle decisioni prese dal marito, aumentò il contingente dei suoi soldati e si preparò alla resistenza , perché voleva che i cardinali trattassero con lei. Essi invece si recarono per una seconda volta da Girolamo, il quale riaccettò le offerte precedenti. A questo punto Caterina, dopo dodici giorni di resistenza, si arrese e, ricongiuntasi con la sua famiglia, lasciò Roma. Il Sacro Collegio poté così riunirsi in conclave.
Giunti a Forlì i Riario vennero a conoscenza dell'elezione di un papa a loro avversario: Innocenzo VIII, al secolo Giovanni Battista Cybo, il quale confermò a Girolamo la signoria su Imola e Forlì e la nomina di Capitano Generale dell'esercito pontificio. Quest'ultima nomina però fu solo un incarico formale, il Papa infatti dispensò Girolamo dalla sua presenza a Roma, privandolo di ogni effettiva funzione e anche della retribuzione.
Nonostante il venir meno dei redditi che il servizio al Papa garantiva, Girolamo non ripristinò il pagamento delle tasse di cui gli abitanti di Forlì erano esentati.
Questa situazione si protrasse fino alla fine del 1485, quando la spesa pubblica divenne insostenibile e Girolamo, fortemente spinto da un membro del Consiglio degli Anziani, Nicolò Pansecco, riorganizzò la politica tributaria ripristinando i dazi precedentemente soppressi. Questa misura fu avvertita dalla popolazione come esosa e, ben presto, Girolamo si fece nemici tutti i ceti delle sue città, dai contadini agli artigiani, dai notabili ai patrizi.
All'inasprimento delle tasse, che colpivano soprattutto il ceto artigiano e i proprietari terrieri, bisognava aggiungere anche il malcontento che si propagò fra le famiglie che avevano subito il potere dei Riario, i quali reprimevano con la forza tutte le piccole insurrezioni che avvenivano in città, e vi era anche chi sperava che la Signoria venisse assunta presto da altre potenze, come ad esempio Firenze. In questo clima di insoddisfazione generale maturò tra i nobili forlivesi l'idea di rovesciare la signoria dei Riario.
Dopo diverse cospirazioni fallite, infine Girolamo venne ucciso, il 14 aprile del 1488, da una congiura capeggiata dalla nobile famiglia forlivese degli Orsi: il palazzo del Signore fu saccheggiato, mentre Caterina e i figli venivano fatti prigionieri.
Poiché la Rocca di Ravaldino, cittadella centrale nel sistema difensivo della città, rifiutava di arrendersi, Caterina si offrì di entrare per convincere il castellano, Tommaso Feo. Gli Orsi le credettero, sulla base del fatto che avrebbero tenuto in ostaggio i figli. Una volta dentro però, Caterina rifiutò di ascoltarli e si preparò alla riconquista del potere, incurante delle minacce ai suoi bambini: se li avessero uccisi, avrebbe ben saputo vendicarli, disse. Sull'episodio nacque anche una leggenda, le cui basi storiche non sono sicure: Caterina, stando sulle mura della Rocca, avrebbe risposto a chi minacciava di ucciderle i figli: "Fatelo, se volete" - e, sollevandosi le gonne e mostrando con la mano il pube - "Ho con me lo stampo per farne degli altri!" Caterina poté così recuperare il governo sia di Forlì che di Imola, anche grazie all'appoggio dello zio Ludovico il Moro, sempre interessato a garantirsi in tal modo una certa influenza nella zona della Romagna, per contrastare la presenza di Venezia. Il 30 aprile del 1488 Caterina iniziò il suo governo in nome del figlio maggiore Ottaviano, riconosciuto da tutti i membri del Comune e dal capo dei magistrati come nuovo Signore di Forlì in quel giorno stesso, ma troppo giovane per esercitare direttamente il potere.
Il primo atto del suo governo consistette nel vendicare la morte del marito, secondo l'usanza del tempo. Ella volle che tutte le persone coinvolte fossero imprigionate, tra di essi il governatore del papa Monsignor Savelli, tutti i generali pontifici, il castellano della rocca di Forlimpopoli, per il fatto che l'aveva tradita, e anche tutte le donne della famiglia Orsi e delle altre famiglie che avevano appoggiato il complotto. Soldati fidati e spie cercarono ovunque, in tutta la Romagna, chiunque dei congiurati fosse, in un primo tempo, riuscito a fuggire. Le case di proprietà degli imprigionati vennero rase al suolo, mentre gli oggetti preziosi furono distribuiti ai poveri.
Il 30 luglio arrivò la notizia che papa Innocenzo VIII aveva concesso a Ottaviano l'investitura ufficiale del suo Stato " sino a linea finita". Nel frattempo si era recato a Forlì il cardinale di San Giorgio Raffaele Riario, ufficialmente per proteggere gli orfani di Girolamo ma, in realtà, per influire sul governo di Caterina.
La giovane Contessa si occupava personalmente di tutte le questioni che riguardavano il governo del suo Stato, sia quelle pubbliche che quelle private. Per consolidare il suo potere scambiava doni con i Signori degli Stati confinanti e conduceva trattative matrimoniali per i suoi figli seguendo le usanze del tempo, secondo le quali concludere una buona alleanza matrimoniale era un ottimo modo di governare. Revisionò il sistema fiscale riducendo ed eliminando alcuni dazi, controllava anche tutte le spese, perfino quelle irrisorie. Si occupava direttamente sia dell'addestramento delle sue milizie sia dell'approvvigionamento delle armi e dei cavalli. Trovava anche il tempo per interessarsi del bucato e per cucire. Era sua intenzione fare in modo che la vita nelle sue città si svolgesse in modo ordinato e pacifico, e i suoi sudditi dimostrarono di apprezzare i suoi sforzi.
Lo stato di Forlì e Imola era piccolo ma a causa della sua posizione geografica aveva una certa importanza nella dinamica politica. In quegli anni ci furono avvenimenti rilevanti che mutarono il quadro politico dell'Italia intera. L'8 aprile del 1492 moriva Lorenzo il Magnifico, la cui oculata politica aveva tenuto a freno le rivendicazioni e le rivalità dei vari stati italiani. Il 25 luglio dello stesso anno moriva anche Innocenzo VIII, che veniva sostituito dal cardinale Rodrigo Borgia, con il nome di papa Alessandro VI. La sua elezione sembrò essere un evento favorevole per lo Stato di Caterina, in quanto nel periodo che i coniugi Riario vissero a Roma, il Cardinale frequentava spesso la loro casa ed egli era anche padrino del loro primogenito Ottaviano.
Questi avvenimenti minacciarono direttamente la stabilità e la pace in Italia. Con la morte del Magnifico si riaccesero gli attriti tra il ducato di Milano e il regno di Napoli, fino ad arrivare alla crisi del settembre del 1494, quando, incitato da Ludovico il Moro, Carlo VIII di Francia calò in Italia rivendicando Napoli come erede degli Angioini. In un primo tempo anche Alessandro VI si mostrò favorevole a questo intervento.
Durante il conflitto tra Milano e Napoli Caterina, che sapeva di trovarsi collocata in posizione strategica di passaggio obbligato per chiunque volesse recarsi al sud, cercò di rimanere neutrale. Da una parte c'era lo zio Ludovico che le scriveva di allearsi con Carlo VIII, dall'altra il cardinale Raffaele Riario che sosteneva il re di Napoli, ora appoggiato anche dal Papa che aveva cambiato parere. Caterina infine scelse di sostenere re Ferdinando II e si preparò a difendere Imola e Forlì.
Tradita dagli alleati napoletani, che al primo attacco dei francesi non la difesero, la Contessa si alleò immediatamente con Carlo VIII, lasciando al suo esercito via libera per raggiungere il regno di Napoli. Il Re di Francia lo conquistò in soli tredici giorni. Questo fatto spaventò i principi italiani che, preoccupati per la loro indipendenza, si riunirono in una Lega antifrancese e Carlo VIII fu costretto a risalire velocemente la penisola e a rifugiarsi, dopo la sconfitta di Fornovo, in Francia.
In questa occasione Caterina riuscì a restare neutrale. Non partecipando alla cacciata dei francesi mantenne sia il favore del Duca di Milano che quello del Papa.
Due mesi dopo la morte di Girolamo si diffuse la voce che Caterina stesse per sposare Antonio Maria Ordelaffi, il quale aveva cominciato a farle visita e, i cronisti riportano, tutti avevano notato che queste visite erano sempre più lunghe e frequenti. Con questo matrimonio sarebbero terminate le rivendicazioni della famiglia Ordelaffi sulla città di Forlì. La cosa era data per certa e Antonio Maria stesso scrisse al duca di Ferrara che la Contessa gli aveva fatto promesse in tal senso. Quando Caterina si accorse di come stavano le cose fece incarcerare tutti quelli che avevano contribuito a diffondere la notizia. Si rivolse anche al Senato di Venezia che mandò Antonio Maria in Friuli, dove rimase confinato per dieci anni.
La Contessa invece si innamorò di Giacomo Feo, fratello ventenne di Tommaso Feo, il castellano che le era rimasto fedele nei giorni seguenti l'assassinio del marito. Caterina lo sposò, ma in segreto, per non perdere la tutela dei figli e, di conseguenza, il governo del suo Stato.
Giacomo fu nominato castellano della rocca di Ravaldino al posto del fratello, e fu insignito con un ordine cavalleresco da Ludovico il Moro. Da questo matrimonio nacque un figlio: Bernardino, in seguito chiamato Carlo, in onore del re Carlo VIII che aveva concesso a Giacomo il titolo di barone di Francia.
Tutte le cronache del periodo riportano come Caterina fosse follemente innamorata del giovane Giacomo. Si temette anche che volesse togliere lo Stato al figlio Ottaviano per darlo all'amante. Essa aveva sostituito i castellani delle rocche dello Stato con i suoi parenti più stretti: alla rocca di Imola Gian Piero Landriani, marito di sua madre, a quella di Forlimpopoli Piero Landriani, suo fratello di sangue, mentre a Tommaso Feo dette in moglie la sorella Bianca Landriani. A Tossignano invece vi fu una congiura per prendere possesso della rocca da parte dei fedelissimi di Ottaviano, i quali avevano progettato di uccidere sia Caterina che Giacomo. La Contessa lo venne a sapere e fece imprigionare e giustiziare tutti i congiurati. Immediatamente sventata, questa congiura fu subito seguita da quella di Antonio Maria Ordelaffi, non rassegnato alla perdita di Forlì, ma anche questa fallì.
La potenza di Giacomo intanto era aumentata a dismisura ed egli era temuto e odiato da tutti, anche dagli stessi figli di Caterina. In un'occasione schiaffeggiò in pubblico il maggiore di essi, senza che nessuno avesse il coraggio di difendere il ragazzo. Dopo questo episodio la situazione a Forlì si fece molto difficile e i fedeli di Ottaviano decisero di liberare la città dal dominio di Giacomo Feo.
La sera del 27 agosto del 1495, di ritorno da una battuta di caccia, Caterina, la figlia Bianca, alcune dame di compagnia, stavano sedute sulla carretta di corte, seguite a cavallo da Ottaviano, suo fratello Cesare e Giacomo, oltre che da numerosi staffieri e soldati. Giacomo venne assalito e ferito mortalmente, rimanendo vittima di una congiura di cui erano al corrente anche i figli della Contessa. Lo stesso Gian Antonio Ghetti, organizzatore principale del riuscito complotto, si recò da Caterina soddisfatto dell'esito, convinto che il primo ordine di uccidere Giacomo fosse partito proprio da lei e dal cardinale Riario. Ma Caterina era all'oscuro di tutto e la sua vendetta fu terribile.
Quando era morto il suo primo marito, la vendetta si era svolta secondo i criteri della giustizia del tempo, ora invece seguì l'istinto accecato dalla rabbia di aver perduto l'uomo amato. Caterina non si limitò a condannare a morte, questa morte doveva essere tra le più crudeli. Non si limitò a perseguire le donne delle famiglie traditrici, perseguì anche i figli, addirittura quelli ancora in fasce, perfino le amanti e i loro bambini vennero presi e giustiziati. In molte pagine le cronache riportano le torture e la spaventosa morte di moltissime persone. Estirpò intere famiglie di cui non si sentì più parlare.
Il coinvolgimento sentimentale di Caterina le impedì di comprendere i motivi politici che avevano ispirato il complotto, il quale, visto il grande numero di persone coinvolte, fu lungamente e accuratamente preparato. Ad esso avevano aderito quasi tutti i sostenitori dei Riario, convinti che Caterina stessa avesse dato tacitamente il suo consenso. Essi volevano sostenere il potere dei Riario e liberare la Contessa dalla prigionia psicologica in cui l'amante la teneva. Invece il furore con cui Caterina rispose all'assassinio di Giacomo Feo, le fece perdere la benevolenza dei suoi sudditi, che mai più riconquistò.
Nel 1496 giunse alla corte di Caterina l'ambasciatore della Repubblica di Firenze Giovanni de' Medici, detto il Popolano. Figlio di Pierfrancesco il Vecchio, apparteneva al ramo collaterale della famiglia Medici. Con il fratello Lorenzo era stato mandato in esilio a causa della sua aperta ostilità verso il cugino Piero de' Medici, succeduto al padre Lorenzo il Magnifico nel governo di Firenze. Quando nel 1494 il re Carlo VIII di Francia era calato in Italia, Piero fu costretto a una resa incondizionata che permise ai francesi di avanzare liberamente verso il Regno di Napoli. Il popolo fiorentino si sollevò, scacciò Piero e proclamò la Repubblica. Giovanni e il fratello poterono fare ritorno in città. Essi rinunciarono al cognome di famiglia e assunsero quello di Popolano. Il governo repubblicano nominò Giovanni ambasciatore di Forlì e commissario di tutti i possedimenti romagnoli di Firenze.
Poco tempo dopo avere reso omaggio alla Contessa come ambasciatore, Giovanni fu alloggiato, con tutto il suo seguito, negli appartamenti adiacenti a quelli di Caterina nella fortezza di Ravaldino. Le voci di un possibile matrimonio tra Giovanni e Caterina e quella che Ottaviano Riario aveva accettato una condotta da Firenze minacciata dai veneziani, allarmarono tutti i principi della Lega e anche il Duca di Milano.



Giovanni il popolano


Caterina non poté tenere nascosto allo zio Ludovico queste sue terze nozze. La situazione era diversa da quella precedente, in quanto Caterina aveva l'approvazione dei figli e finì per avere anche quella dello zio. Dal matrimonio nacque un figlio, che venne chiamato Ludovico in onore del Duca di Milano, ma che in seguito divenne famoso con il nome di Giovanni dalle Bande Nere.



Giovanni dalle Bande Nere


Intanto la situazione tra Firenze e Venezia andava peggiorando e Caterina, che si trovava sempre collocata sulle vie di passaggio degli eserciti, si preparava alla difesa. Aveva anche mandato un contingente di cavalieri in soccorso a Firenze, con a capo il figlio maggiore, facendolo accompagnare da uomini di fiducia, da lei stessa istruiti, e dal patrigno.
Improvvisamente Giovanni de' Medici si ammalò così gravemente da dovere lasciare il campo di battaglia per recarsi a Forlì. Qui, nonostante le cure, le sue condizioni continuarono a peggiorare e venne trasferito a Santa Maria in Bagno, dove si sperava nelle acque miracolose. Il 14 settembre del 1498 Giovanni morì in presenza di Caterina, che era stata chiamata a recarsi da lui con urgenza.
Ritornata immediatamente a Forlì per occuparsi della difesa dei suoi Stati, Caterina si tenne occupata nel dirigere le manovre militari, concernenti l'approvvigionamento dei soldati, delle armi e dei cavalli. L'addestramento delle milizie veniva eseguito dalla Contessa in persona che, per reperire denaro e truppe aggiuntive, non si stancava di scrivere allo zio Ludovico, alla Repubblica di Firenze e agli Stati alleati confinanti. Solo il Duca di Milano e quello di Mantova inviarono un piccolo contingente di soldati.
Dopo un primo attacco dell'esercito di Venezia, che inflisse gravi distruzioni nei territori occupati, l'esercito di Caterina riuscì ad avere la meglio sui veneziani, tra i quali militavano anche Antonio Ordelaffi e Taddeo Manfredi, discendenti delle casate che avevano governato rispettivamente Forlì e Imola prima dei Riario. Dopo di che la guerra continuò con delle piccole battaglie fino a quando i veneziani riuscirono ad aggirare Forlì per raggiungere Firenze da un'altra via.
Da questo momento in molte cronache relative alle terre romagnole, Caterina viene spesso nominata con l'appellativo di "Tygre".
Al trono francese era nel frattempo succeduto Luigi XII, i quale vantava diritti sul Ducato di Milano e anche sul Regno di Napoli, rispettivamente come discendente di Valentina Visconti e della dinastia degli Angiò. Luigi XII, prima di iniziare la sua campagna in Italia, si assicurò l'alleanza dei Savoia, della Repubblica di Venezia e di papa Alessandro VI. A capo del suo forte esercito nell'estate del 1499 entrò in Italia occupando senza dover combattere tutto il Piemonte, la città di Genova e quella di Cremona. Il 6 ottobre si insediò a Milano, abbandonata il mese precedente dal duca Ludovico che si era rifugiato nel territori del Tirolo sotto la protezione del nipote Massimiliano I del Sacro Romano Impero.
Alessandro VI si era alleato con il Re di Francia per avere in cambio il suo appoggio nella costituzione di un Regno per il figlio Cesare Borgia nelle terra della Romagna. Con questo scopo emise una bolla pontificia per far decadere le investiture di tutti i feudatari di quelle terre, compresa Caterina.
Quando l'esercito francese partì da Milano con il duca Valentino alla conquista della Romagna, Ludovico Sforza riconquistò il Ducato con l'aiuto degli austriaci.
Caterina per contrastare l'esercito francese che stava arrivando, cercò soccorso da Firenze, ma i fiorentini erano minacciati dal Papa che intimava di togliere loro Pisa, per cui ella rimase da sola a difendersi. Iniziò subito ad arruolare e addestrare quanti pìù soldati poteva e a immagazzinare armi, munizioni e viveri. Fece rinforzare le difese delle sue fortezze con opere importanti, soprattutto quella di Ravaldino dove lei stessa risiedeva e che era già considerata inespugnabile. Fece anche partire i figli che furono accolti nella città di Firenze.
Il 24 novembre Cesare Borgia arrivò a Imola. Le porte della città vennero subito aperte dagli abitanti ed egli poté prenderne possesso, dopo averne espugnato la rocca dove il castellano resistette diversi giorni. Visto quanto era accaduto nella sua città minore, Caterina chiese espressamente al popolo di Forlì se voleva fare altrettanto o se voleva essere difeso e, in questo caso sopportare un assedio. Dato che il popolo tentennava a risponderle Caterina prese la decisione di concentrare tutti gli sforzi per la difesa nella fortezza di Ravaldino, lasciando la città al suo destino.
Il 19 dicembre il Valentino prese possesso anche di Forlì e pose l'assedio alla rocca. Caterina non cedette ai tentativi messi in atto per convincerla ad arrendersi, due fatti direttamente dal duca Valentino e uno dal cardinale Raffaele Riario. Mise anche una taglia su Cesare Borgia in risposta a quella che il Duca aveva messo su di lei: 10.000 ducati per entrambi, vivi o morti. Cercò anche di prendere prigioniero il Valentino, mentre questi era nei pressi della rocca per parlarle, ma il tentativo fallì.
Per molti giorni le artiglierie di ambedue le fazioni continuarono a bombardarsi a vicenda: quelle di Caterina inflissero numerose perdite all'esercito francese, senza che questo riuscisse a smantellare le difese principali della fortezza. Quello che veniva distrutto di giorno veniva poi ricostruito durante la notte. Gli assediati trovarono anche il tempo per suonare e ballare.
La resistenza solitaria di Caterina venne ammirata in tutta l'Italia. Niccolò Machiavelli stesso riporta che numerosissime furono le canzoni e gli epigrammi composti in suo onore, dei quali ci è giunto solo quello di Marsilio Compagnon.
Visto che il tempo passava e non si otteneva nessun risultato, il Valentino cambiò tattica. Iniziò a bombardare le mura della rocca in continuazione, anche di notte fino a che, dopo sei giorni, si aprirono due grossi varchi. Il 12 gennaio del 1500 la battaglia decisiva fu cruenta e veloce e Caterina continuò a resistere combattendo lei stessa con le armi in mano fino a quando venne fatta prigioniera. Tra i gentiluomini catturati insieme con lei, c'era anche il suo segretario, il forlivese Marcantonio Baldraccani. Subito Caterina si dichiarò prigioniera del francesi, sapendo che vi era una legge in Francia che impediva di tenere come prigionieri di guerra le donne.
Il Machiavelli, secondo cui la fortezza era mal costruita e le operazioni di difesa mal dirette da Giovanni da Casale, commentò: "Fece adunque la malaedificata fortezza e la poca prudenza di chi la difendeva vergogna alla magnanima impresa della contessa...".
Si narra che Cesare Borgia, dopo avere assediato per giorni il suo castello, quando riuscì a catturarla si rinchiuse con lei in una stanza per quindici giorni.
Nessuno sa cosa accadde tra i due, ma quando Caterina venne portata a Roma come prigioniera cavalcò a fianco del vincitore vestita come una regina.
Comunque siano andate le cose, Cesare ottenne la custodia di Caterina dal comandante generale dell'esercito francese Yves d'Allègre, promettendo che essa sarebbe stata trattata non da prigioniera ma da ospite. Fu costretta dunque a partire con l'esercito che si preparava alla conquista di Pesaro. La conquista dovette però essere rimandata a causa di Ludovico il Moro che il 5 febbraio riconquistò Milano, costringendo le truppe francesi a tornare indietro. Il Valentino quindi, rimasto solo con le truppe pontificie, si diresse verso Roma, dove condusse anche Caterina che venne in un primo tempo sistemata nel palazzo del Belvedere. Verso la fine del mese di marzo Caterina tentò di fuggire ma fu scoperta e immediatamente imprigionata a Castel Sant'Angelo.


 
Cesare Borgia                                                      Ludovico il Moro



Per giustificare l'incarcerazione di Caterina papa Alessandro VI l'accusò di averlo voluto avvelenare con delle lettere impregnate di veleno spedite nel novembre del 1499 in risposta alla bolla pontificia che deponeva la Contessa dal suo feudo.
Ancora oggi non si sa se l'accusa fosse fondata oppure no. Machiavelli si dice convinto che Caterina avesse veramente tentato di avvelenare il Papa, mentre altri storici, come Jacob Burckhardt e Ferdinand Gregorovius non ne sono altrettanto certi. Si tenne anche un processo che però non si concluse e Caterina rimase incarcerata nella fortezza fino al 30 giugno del 1501, quando fu liberata da Yves d'Allègre che era giunto a Roma con l'esercito di Luigi XII per conquistare il Regno di Napoli. Alessandro VI pretese che Caterina firmasse i documenti per la rinuncia dei suoi Stati, visto che nel frattempo il figlio Cesare, con l'acquisizione di Pesaro, Rimini e Faenza, era stato nominato duca di Romagna.
Dopo un breve soggiorno nella residenza del cardinale Raffaele Riario, Caterina si imbarcò per raggiungere Livorno e poi Firenze, dove l'attendevano i suoi figli.



Alessandro VI

Nella città di Firenze Caterina visse nelle ville che erano appartenute al marito Giovanni, soggiornando spesso nella Villa medicea di Castello. Si lamentava di essere maltrattata e di vivere in ristrettezze economiche.
Per diversi anni sostenne una battaglia legale contro il cognato Lorenzo per la tutela del figlio Giovanni, che fu affidato allo zio a causa della sua detenzione, ma che le fu restituito nel 1504 poiché il giudice riconobbe che l'incarcerazione come prigioniera di guerra non era paragonabile a quella dovuta dall'aver compiuto atti criminali.
Con la morte di Alessandro VI, avvenuta il 18 agosto del 1503, Cesare Borgia perse tutto il suo potere. Si riaprivano tutte le possibilità di restaurare i vecchi feudatari romagnoli negli Stati da cui erano stati cacciati. Caterina non perse tempo e si diede molto da fare inviando lettere e persone di fiducia a perorare la sua causa e quella di Ottaviano presso Giulio II. Il nuovo Papa si mostrò favorevole al ripristino della Signoria dei Riario su Imola e Forlì, ma la popolazione delle due città si dichiarò in maggioranza contraria al ritorno della Contessa, per cui lo Stato passò ad Antonio Maria Ordelaffi che si insediò il 22 ottobre del 1503.
Perduta ogni possibilità di ripristinare l'antico potere Caterina trascorse gli ultimi anni della sua vita dedicandosi ai suoi figli, in particolare a Giovanni che era il più piccolo, ai suoi nipoti, ai suoi "experimenti" e alla sua vita sociale, continuando ad avere una intensa corrispondenza sia con le persone che le erano rimaste affezionate in Romagna che con i parenti che risiedevano a Milano.
Nell'aprile del 1509 Caterina fu colpita in modo grave da una polmonite. Sembrò riprendersi, tanto da essere dichiarata guarita, ma un improvviso peggioramento della malattia la portò alla morte il 28 maggio. Dopo avere fatto testamento e disposto per la sua sepoltura moriva all'età di quarantasei anni.Così la definì il suo storico Pier Desiderio Pasolini: <<Eroica ma violenta, ammirazione e terrore dei contemporanei, ancor viva divenne un mito. La leggenda la fa bella e crudele, e la vipera sforzesca, scolpita presso la rosa dei Riario, sembra figurare sulle rocche, l'anima dell'antica signora>>.
Di lei c'è pervenuto il " Liber de experimentiis Catherinae Sfortiae" redatto nel corso di vent'anni tra un assedio e l'altro. In esso sono contenute ricette e pozioni di ogni tipo (quasi 500), dai rossetti per le guance ai veleni più spietati, sperimentati personalmente dalla contessa in un vero e proprio laboratorio alchemico.
A trentasei anni, età in cui le sue contemporanee erano già considerate vecchie, Caterina Sforza conservava intatta la freschezza dell'adolescenza.



P. Misciattelli, Personaggi del Quattrocento italiano, Gaetano Garzoni Provenzani Editore, Roma 1914




 

  
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