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BIANCA MARIA VISCONTI SFORZA





Bianca Maria Visconti nacque a Settimo Pavese, il 31 marzo 1425
Era la figlia legittimata di Filippo Maria Visconti, duca di Milano, e di Agnese del Maino.
All'età di sei mesi la piccola Bianca Maria venne trasferita, insieme alla madre Agnese (figlia del conte palatino e questore ducale Ambrogio del Maino - probabilmente dama di compagnia di Beatrice di Lascaris, prima moglie di Filippo Maria), in un'ala appositamente e riccamente allestita del castello di Abbiate, l'attuale Abbiategrasso.
Nonostante le movimentate vicende politiche e militari e il secondo matrimonio con Maria di Savoia, il Duca trascorse molto tempo ad Abbiate, mostrandosi intrigato dalla personalità della figlia; quest'ultima infatti diede mostra fin da piccola di un carattere incline alla ricerca del consenso, insensibile ai lussi superflui e poco manovrabile.
Filippo Maria Visconti offrì a Francesco Sforza in sposa la figlia Bianca Maria, che all'epoca aveva solo cinque anni. Inoltre, non è escluso che il Visconti abbia fatto intravedere allo Sforza la possibilità di adottare come legittimo erede, e quindi come successore al titolo, il consorte della figlia.
Francesco Sforza accettò la proposta matrimoniale, probabilmente attratto dall'anticipo della dote che consisteva nelle terre di Cremona, Castellazzo e Bosco Frugarolo. Il contratto di fidanzamento venne ratificato il 23 febbraio 1432 presso il castello di Porta Giovia, residenza milanese dei Visconti; come padrino d'anello di Bianca Maria fu indicato Andrea Visconti, generale dell'ordine degli Umiliati. La presenza di Bianca Maria e della madre Agnese alla cerimonia non è accertata; alcune testimonianze riferiscono anzi che la prima visita di Bianca a Milano abbia avuto luogo quand'era ormai in età da marito.
Piuttosto indifferente a tutti questi intrighi, Bianca Maria trascorse l'infanzia e l'adolescenza nel castello di Abbiategrasso con la madre, in un clima culturale di grande apertura. Qui ricevette, per desiderio paterno, un'accurata formazione di tipo umanistico. La biblioteca ducale, inventariata nel 1426, era caratterizzata da una grande varietà di opere: a fianco dei classici latini si trovavano testi francesi e provenzali di narrativa ma anche scientifici e didattici, nonché testi in italiano volgare con largo predominio degli autori toscani.
Padre e figlia non avevano gusti comuni solo nelle letture; entrambi erano appassionati di cavalli e sembra che Bianca Maria fosse anche un'abile cacciatrice.
Le nozze ebbero luogo a Cremona il 25 ottobre del 1441 presso l'abbazia di San Sigismondo, sede scelta dallo stesso Sforza e preferita al più ovvio duomo della città per motivi di sicurezza. Fino all'ultimo Francesco diffidò infatti del suo lunatico suocero. I festeggiamenti durarono diversi giorni e compresero un sontuoso banchetto, diversi tornei, giostre, un palio, carri allegorici e una riproduzione del Torrazzo di Cremona fatta con il tipico dolce cremonese. È forse da questo episodio che ha origine il nome di torrone.
Lo storico Sabadino de li Arienti ci descrive la duchessa diciassettenne: <<bianca de carne et candida de costumi faceta opportunamente cum dolce et casto riso...., ma de gravità reverenda>>.





Già pochi giorni dopo il matrimonio (7 novembre) le bizze del Duca si fecero sentire sotto forma di un decreto che limitava i poteri dei suoi vassalli, Sforza compreso.
Temendo l'ostilità del suocero, il 23 gennaio del 1442 Francesco riparò in territorio veneto stabilendosi a Sanguinetto (VR); per Bianca Maria iniziò allora una nuova fase, dall'ambiente riparato e isolato del castello alla vita spesso disagevole della moglie del condottiero.
Nel maggio dello stesso anno la coppia fu invitata a Venezia. Nonostante l'aperta inimicizia nei confronti del padre di lei, l'accoglienza da parte del doge Francesco Foscari e della dogaressa Marina Nani fu sontuosa. Al secondo giorno della visita giunse però la notizia che il Piccinino stava radunando un esercito per minacciare i territori dello Sforza nella Marca anconitana. Questi avrebbe voluto partire subito ma l'intercessione e le promesse di aiuto da parte del Foscari, unite alle pressioni della moglie, lo convinsero a restare altri due giorni.
Lasciata Venezia i due si recarono a Jesi, passando prima per Rimini, dove furono ospiti dell'infido Sigismondo Malatesta, quindi a Gradara, presso Galeazzo Malatesta.
A Jesi cominciò per Bianca Maria un periodo travagliato: rimasta al castello mentre lo Sforza era alla guida dell'esercito, già nel 1442 venne nominata dal marito reggente della Marca: «poniamo a capo di tutta la nostra provincia l'inclita e illustre nostra consorte Bianca Maria [...] le affidiamo tutto il governo della medesima (provincia) affinché la prudenza, l'equità, la clemenza e la grandezza d'animo, virtù [...] delle quali la nostra consorte è per natura e per educazione grandemente fornita [...]». Può colpire che il condottiero si esprima in toni così elogiativi della moglie diciassettenne, ma in pochi mesi di matrimonio aveva iniziato ad apprezzarne le doti caratteriali e aveva condiviso con lei le decisioni politiche e amministrative. Le cronache del tempo riportano molte occasioni in cui Bianca Maria intervenne nell'amministrazione e anche nell'attività diplomatica.
Se il sentimento fra i due fu sicuramente di reciproco rispetto e con ogni probabilità anche di amore, rimaneva senz'altro diversa la concezione della fedeltà coniugale: se per Bianca Maria era un valore assoluto e imprescindibile, per Francesco lo era molto di meno; egli si dedicava infatti ai rapporti extraconiugali con assoluta noncuranza.
Nel 1443, in occasione del primo di questi tradimenti, Bianca Maria ebbe un atteggiamento molto dissonante dal suo abituale carattere. Narra il Piccolomini nei suoi Commentarii che Bianca Maria fece allontanare la sua rivale, che poi fu misteriosamente rapita e uccisa, e impedì a Francesco di vedere Polidoro, il figlio nato da quel rapporto.
I primi anni di vita coniugale coincisero con un lungo periodo turbato dal contrasto fra Filippo Maria Visconti e Francesco Sforza; il primo era impegnato in una contorta politica espansionistica e in un continuo mutamento di alleanze, tanto da affidare le sue armate a Niccolò Piccinino, da sempre rivale dello Sforza; l'altro era coinvolto in un conflitto con il papato che lo portò fino alla scomunica, avvenuta nel 1442. Una posizione sicuramente difficile per Bianca Maria, che da persona di grande lealtà come viene descritta dai suoi biografi si trovava dilaniata fra due fazioni in guerra.
Nel 1446 il Duca, ormai malato e indebolito, opera un tentativo di riavvicinamento con lo Sforza; nonostante l'insistenza di Bianca Maria, questi rimase però diffidente e preferì dare priorità alla difesa dei suoi territori insidiati dalle truppe papali.
Nel marzo del 1447 il condottiero si sentì abbastanza sicuro e accettò la carica di «ducale luogotenente» ma ancora una volta il Visconti cambiò idea, insospettito e ingelosito per la gioia manifestata dalla fazione sforzesca residente a Milano. Ciò avveniva nello stesso momento in cui il nuovo papa, Niccolò V, pretese dallo Sforza la restituzione di Jesi.
Per la coppia fu il momento peggiore, ulteriormente funestato dalla morte di Costanza, moglie di Alessandro Sforza, che aveva condiviso con Bianca Maria gli anni precedenti.
Francesco Sforza accettò la cessione di Jesi al Papa per 35.000 fiorini e si mise in marcia con la moglie per raggiungere Milano. Il viaggio fu però rallentato da alcune tappe necessarie per consolidare future alleanze e la notizia del decesso del Visconti, avvenuto fra il 13 e il 14 agosto 1447 raggiunse la coppia a Cotignola, nell'antica residenza di famiglia; Bianca Maria accolse con rabbia e sgomento le notizie dei saccheggi e della distruzione delle proprietà viscontee a Milano.
Bianca e Francesco, accompagnati da 4.000 cavalieri e 2.000 fanti, erano in marcia verso Cremona quando la neonata Aurea Repubblica Ambrosiana, minacciata da Venezia, offrì allo Sforza il titolo di Capitano Generale. Furiosa con Milano, Bianca avrebbe voluto un rifiuto sdegnato ma il lungimirante marito accettò il titolo, dando inizio a un triennio di lotte senza scrupoli per difendere ciò che rimaneva del ducato e riconquistare le città che se ne erano staccate.
Nel maggio 1448, mentre lo Sforza stava consolidando la riconquista di Pavia, che gli aveva offerto il titolo di conte in cambio del mantenimento di alcuni privilegi municipali, avvenne un episodio molto esaltato dalle cronache. I veneziani approfittarono dell'assenza dello Sforza per attaccare Cremona e in particolare per attraversarne il ponte e raggiungere Pavia. Bianca Maria indossò l'armatura da parata e si precipitò, seguita dal popolo e dalle truppe, verso il ponte armata di una lancia e partecipando attivamente alla battaglia che durò fino a sera. Quest'episodio, che rimase unico nella vita di Bianca Maria, fu in seguito sfruttato per descriverla ingiustamente come donna guerriera e spericolata.
Scongiurato il pericolo veneziano, si trasferì a Pavia e si insediò nel castello Visconteo circondata da un vasto gruppo di famigliari suoi e del marito e di parenti della madre. Da Pavia, in attesa del terzo figlio, si occupò della famiglia ma allacciò anche una folta rete di relazioni con i vari membri dei rami della famiglia Visconti e con i feudatari locali procurando al marito nuovi appoggi e trattando per ottenere prestiti e fondi. Le difficoltà finanziarie che già avevano perseguitato la coppia in passato continueranno infatti anche nel periodo del ducato.
Il 24 febbraio del 1450 a Milano scoppiarono dei tumulti. Venne ucciso l'ambasciatore di Venezia, città ritenuta responsabile della carestia che affliggeva la città, e un'adunanza di notabili, nobili e cittadini, su consiglio di Gaspare da Vimercate, chiamò lo Sforza a reggere la città. Milano, come puntualizzarono molti storici dell'epoca, si consegnò «per fame e non per amore».
Nei primi anni di reggenza di Francesco Sforza ebbero luogo la venuta in Italia dell'imperatore Federico III e una nuova campagna di Venezia contro Milano.
Rimasta a Milano in assenza del marito impegnato in operazioni militari, Bianca si dedicò all'attività amministrativa e diplomatica, seguì i numerosi intrighi e tradimenti di vari personaggi che gravitavano intorno alla corte ducale e si occupò della vita quotidiana come testimonia un ampio carteggio (custodito in parte presso l'Archivio di Stato di Milano) fra lei e il marito, ricco di notizie sull'educazione dei figli, sull'amministrazione dello stato, sulle costanti difficoltà finanziarie e sui dettagli della vita quotidiana.
Il Sabadino narra <<ch'ella de nocte, privatissimamente, scalza, andava a fare reverentia al tempio de Sancta Maria de l' Hospitale novo, et a quello de Sancta Maria de San Celso fuori di Milano, scalza del mese di novembre>>.
Teneva assai all'abbigliamento e <<vestiva cum tal pompa e magnificenza che a quelli tempi non avea pari>>.
Alla nascita del quarto figlio Bianca scrive al marito pregandolo «da pensare de metergli uno bello nome adciò suplisca in parte alla figura del puto che mi è il più sozo (brutto) di tuti gli altri» (descrivendo colui che diverrà noto come Ludovico il Moro).
Dai carteggi fra i due emerge costantemente da un lato il rispetto dello Sforza per "Madonna Biancha" e dall'altro il carattere determinato di Bianca che, pur seguendo le indicazioni del consorte, non ha remore a esprimere le sue opinioni quando dissentono da quelle del marito: «io in tute le cose son disposta a fare tuto quelo che ve sia in piacimento [...] ma questa cosa ad farla me pare tanto grave [...] et per più et più ragioni non me par bene che [...] sia facta per mi».
Nei carteggi non mancano toni aspri e sfuriate in seguito alle avventure extra-coniugali dello Sforza, «Madonna Biancha mi ha dicto quelle cose che le donne dicono ali mariti», spiegava rassegnato.
Altro ampio carteggio è quello tra Agnese del Maino e Francesco Sforza, ricco di dettagli scherzosi e nel quale la nonna tesse le lodi dei nipoti e in particolare di quello che appare il suo preferito, Galeazzo Maria, entusiasmo che il padre non condivide in pieno avendo già avuto modo di rendersi conto del carattere prepotente dell'erede.
Nel 1452 fu Bianca ad occuparsi di ricevere e ospitare a Pavia Renato d'Angiò, diretto a Cremona per unirsi allo Sforza con il suo esercito. Il breve soggiorno è caratterizzato dalle intemperanze della truppa francese a Pavia e da una visita a sorpresa di Renato a Milano, dove Bianca lo riceve nuovamente (lamentandosene però col marito perché colta alla «sprovveduta») e gli mostra il cantiere del Castello Sforzesco, opera fortemente voluta dallo Sforza.
Negli anni da duchessa, soprattutto in quelli pacifici seguiti alla pace di Lodi, non furono sono solo l'attività diplomatica e quella quotidiana a impegnare Bianca Maria. Ella si dedicò infatti al restauro ed abbellimento delle residenze ducali, all'organizzazione di ricevimenti e banchetti ma anche alla costruzione di opere di pubblica utilità e ad aiutare le fasce di popolazione più povere, in particolare le donne. Vi sono numerose testimonianze di donne maltrattate che si rivolsero a lei per trovare rimedio. Bianca Maria e Francesco Sforza, su incoraggiamento di Monsignor Gabriele Sforza e frate Michele Carcano, fecero inoltre erigere un grande ospedale per i poveri, l'Ospedale Maggiore.
La devozione di Bianca Maria si manifestò anche nel 1459 quando Pio II convocò il Concilio di Mantova nella speranza di organizzare una crociata contro i turchi. Bianca offrì un contingente di 300 fanti e Francesco, giunto a Mantova in un momento successivo, si offrì di condurre la crociata. La crociata non si fece ma la coppia tornò a Milano con le bolle di indulgenza in favore del Duomo di Milano e dell'Ospedale Maggiore. Di questo evento, così come della coppia ducale, il Piccolomini fece una dettagliata descrizione nei suoi Commentarii.
Nel 1462 Francesco Sforza, da tempo sofferente di gotta e idropisia, attraversò breve periodo di grave malattia. In questa circostanza fu solo l'intensa attività epistolare di Bianca Maria che impedì lo sfascio dello stato; la notizia dell'indisposizione dello Sforza aveva infatti alimentato una serie di ribellioni, in parte fomentate da Venezia che era pronta a intervenire per opporsi alla coalizione fra Milano, Firenze e Napoli voluta dallo Sforza. Vi fu addirittura un riavvicinamento con Jacopo Piccinino, figlio di Niccolò, che espresse una forte stima per Bianca Maria, tanto che venne organizzato il matrimonio con Drusiana, figlia naturale di Francesco.
D'altra parte non cessarono le preoccupazioni per il figlio Galeazzo; oltre alle caratteristiche caratteriali inquietanti mostrate dal giovane, vi fu anche la rottura del fidanzamento con Dorotea Gonzaga, un contratto che era stato stipulato in un momento in cui l'appoggio dei Gonzaga era vitale per il ducato; lo stesso matrimonio venne però in seguito considerato troppo poco prestigioso dallo Sforza. La rottura del parentado fu uno dei contrasti che turbarono l'armonia della coppia ducale: l'orgogliosa Bianca Maria non avrebbe voluto infrangere la parola data mentre per Francesco prevalse la ragion di stato. Tra l'altro Bianca Maria era legata a Barbara Gonzaga, marchesa di Mantova e madre di Dorotea, da un intenso e duraturo rapporto di amicizia.
Forse conscio della fine imminente, Francesco coinvolse sempre di più Bianca Maria nel governo del ducato tanto che i castellani prestarono anche a lei giuramento di fedeltà, ufficializzandone la co-reggenza.
All'alba del 1465, in un periodo di pace e mentre la fama di abile diplomatico e politico accorto del marito era all'apice, tre dei suoi figli lasciarono Milano: Galeazzo partì per la Francia a capo di una spedizione militare in aiuto del re Luigi XI, mentre Ippolita e Sforza Maria si recarono a Napoli per sposare rispettivamente Alfonso ed Eleonora d'Aragona. Nello stesso periodo anche la loro sorellastra Drusiana si recò nella città partenopea per raggiungere il marito Jacopo Piccinino.
Oltre alla preoccupazione per le condizioni di salute di Francesco e per i crescenti contrasti tra questi e il figlio primogenito, Bianca Maria venne colpita da un'altra grave perdita: il 13 dicembre 1465 morì infatti la madre Agnese.
La morte di Francesco seguì invece pochi mesi dopo, l'8 marzo 1466.
Dopo essersi abbandonata per alcuni giorni al dolore, la vedova prese rapidamente in mano le redini del ducato, fece richiamare il figlio primogenito e organizzò i preparativi per la successione.
L'atteggiamento iniziale di Galeazzo fu di riconoscenza e deferenza nei confronti della madre, che mise tutto il suo impegno nel guidarlo verso il proseguimento delle linee politiche paterne. Ma non appena si sentì più sicuro nel ruolo, il nuovo Duca incominciò a fare di testa propria con l'avidità, la prepotenza e l'incostanza che da sempre lo caratterizzavano. Ben presto lo scontro con la madre divenne aspro, tanto più che gran parte della corte, per ovvi motivi di opportunità, prese le parti di Galeazzo.
Nel 1467, con la morte di Dorotea Gonzaga, si spianò la strada per il matrimonio tra Galeazzo Sforza e Bona di Savoia. Il nuovo Duca manovrò sempre più per relegare la madre in un ruolo secondario: minacciò gli ultimi cortigiani che le erano rimasti fedeli, ne violò la corrispondenza e infine le ordinò di lasciare la città, tanto che in seguito Antonio da Trezzo, ambasciatore degli Sforza a Napoli, rivelò che Bianca Maria aveva pensato di «presentarsi in piazza e chiedere l'aiuto del popolo». L'oggetto della contesa divenne in particolare la città di Cremona, da sempre cara a Bianca in quanto sua città dotale, tanto che decise infine di trasferirvisi per mantenerne l'indipendenza. Vi sono testimonianze dell'epoca che affermano che Bianca Maria aveva in mente di lasciare il dominio della città a Venezia, e nello stesso periodo sono attestati frequenti contatti tra Bianca Maria e Ferdinando, re di Napoli, favorevole ad un rovesciamento di Galeazzo.
Nonostante il parere contrario di tutti coloro che le erano vicini, Bianca Maria decise di assistere al matrimonio del suo primogenito, che si tenne il 9 maggio 1468; al termine dei festeggiamenti accompagnò la figlia Ippolita fino a Serravalle per poi fare ritorno a Cremona. È incerto il motivo della sua tappa a Melegnano, dove giunse il 18 agosto, ma qui dopo pochi giorni venne colpita da un forte malessere con febbre alta che la obbligò a trascorrervi tutto il mese di agosto e quello di settembre. In questo periodo vi fu ancora un intenso traffico di corrispondenza, ma all'inizio di ottobre le sue condizioni subirono un brusco peggioramento.
Al suo letto di morte accorse, il 19 ottobre, Galeazzo al quale disse queste parole che sono degne di una grande madre: <<Io ti recomando li miei Milanesi e tutti li altri nostri subditi>>.
Fu sepolta nel Duomo di Milano a fianco del marito dopo una solenne cerimonia. L'orazione funebre, commissionata da Galeazzo, fu scritta dal poeta e umanista Francesco Filelfo.
Galeazzo Maria fu apertamente accusato, tra gli altri anche dal Colleoni, di aver avvelenato la madre.
Bernardino Corio affermò che [Bianca Maria] «più de veneno che di naturale egretudine fusse morta». Nelle settimane di infermità a Melegnano vi fu in effetti un intenso via vai di emissari del figlio, e tra questi figurano anche personaggi ambigui che in seguito furono implicati in altri casi di avvelenamento. L'ipotesi del matricidio da parte di Galeazzo, pur non essendo provata, è dunque plausibile.

Dal matrimonio con Francesco Sforza nacquero 8 figli: Galeazzo Maria, Ippolita Maria (che sposò Alfonso di Aragona), Filippo Maria, Sforza Maria, Ludovico Maria detto "il Moro", Ascanio Maria, (che fu Vescovo di Pavia), Elisabetta Maria e Ottaviano Maria.
Secondo alcune fonti, altri due figli morirono subito dopo la nascita.

Fonti: Wikipedia, l'enciclopedia libera
P. Misciattelli, Personaggi del Quattrocento italiano, Gaetano Garzoni Provenzani Editore, Roma 191




 

  
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